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Milano, città delle opportunità, del lavoro che corre e dei sogni che si rincorrono. Ma cosa significa, davvero, costruire una vita qui oggi? Abbiamo incontrato Luca (nome di fantasia), 32 anni, che lavora nel settore delle risorse umane di un’azienda milanese. Vive con la sua compagna e il loro bambino, nato da pochi mesi. Ha un lavoro stabile, uno stipendio dignitoso, ma ogni mese è una piccola scalata.
Con lui abbiamo parlato di lavoro, famiglia, sogni e fatica quotidiana, quella meno visibile, ma che tanti giovani conoscono bene.

Come riesci a conciliare il lavoro in azienda con la vita familiare, soprattutto ora che siete diventati genitori? Hai mai la sensazione che il tempo non basti mai?

Eh, praticamente sempre. Il tempo è diventato il vero lusso. Lavoro full time, spesso anche con qualche riunione fuori orario, e poi torno a casa dove inizia un altro turno: cambio pannolini, pappa, ninna, lavatrici. Non mi lamento, eh, ma è come se non ci fosse mai uno spazio vuoto per respirare. Prima, magari, riuscivo a leggere qualcosa o andare in palestra ogni tanto. Ora no. Il tempo per noi, come coppia, è un miraggio. Però quando guardo mio figlio dormire mi dico che ne vale la pena… anche se sono stanco morto.

Lavori nelle risorse umane: com’è vedere ogni giorno i problemi di chi cerca stabilità, mentre tu stesso magari vivi una precarietà economica sottile ma costante?

È un paradosso pazzesco. Parlo ogni giorno con persone che chiedono certezze, contratti migliori, flessibilità, e dentro di me penso: “Ma io stesso sto a galla per miracolo!”. Ho un contratto stabile, sì, ma tra l’affitto, le bollette, il nido, il cibo, finisce tutto lì. Ogni mese è un esercizio di equilibrio. E non parliamo di imprevisti: se si rompe la lavatrice salta tutto. C’è questa narrazione che se hai un lavoro sei a posto. No. Puoi avere un lavoro e non arrivare comunque a fine mese con serenità. E quando lo dici, sembri quasi ingrato.

Milano offre molto, ma costa anche molto: quanto pesa per te il costo della vita sulla qualità della tua quotidianità e sulle tue scelte per il futuro?

Pesa tantissimo. Milano è una città viva, piena di stimoli, ma ogni cosa ha un prezzo… e spesso è alto. Non parlo solo della casa o dei trasporti: anche una pizza in due ormai è un piccolo lusso. Uscire diventa un calcolo. Questo incide su tutto: fai meno cose, vedi meno amici, rinunci. E quando hai un bambino, ogni scelta è doppia: è sostenibile o no per noi tre? L’idea di comprare casa, ad esempio, è fuori portata. Eppure, lavoriamo entrambi. Fa pensare.

Cosa sogni per tuo figlio, in un presente dove anche costruire una vita “normale” sembra già una conquista?

Sogno che possa avere scelte, che non debba sentirsi in colpa se sogna qualcosa di più grande o di diverso. Vorrei che potesse vivere in un mondo dove lavorare non significa solo sopravvivere, ma anche costruirsi una vita con dignità, con tempo per amare, per crescere, per pensare. Io mi sento in una corsa costante e spero che lui possa rallentare, magari. Vivere con un po’ più di leggerezza. E se un giorno vorrà anche solo fare una passeggiata senza pensieri, spero possa farlo.

Luca non cerca compassione né soluzioni facili. Le sue parole raccontano una realtà fatta di incastri e sacrifici silenziosi. La sua è la storia di molti: giovani adulti che, pur facendo tutto “come si deve”, si ritrovano a fare i conti con una città esigente, un mercato del lavoro che promette tanto ma offre poco e un futuro che spesso sembra più faticoso che luminoso.
Eppure, tra tutte queste difficoltà, resta la forza di andare avanti. Per sé, ma soprattutto per chi è appena arrivato nel mondo.


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