– La politica guarda ai voti, non al futuro. E i giovani? Invisibili. Forse è tempo di cambiare le regole del gioco – almeno per riflettere su dove stiamo andando –
Negli ultimi anni cambiano le mode, si diffondono nuove tendenze, ma una cosa resta sempre la stessa: i giovani non vanno più a votare. Non perché non siano interessati al mondo che li circonda, ma perché quel mondo – e in particolare la politica – sembra non interessarsi a loro. Si parla spesso di “disaffezione” ma è più corretto parlare di sfiducia. Quando le scelte politiche sembrano ignorare le esigenze delle nuove generazioni, è difficile credere che votare possa davvero fare la differenza.
La politica, oggi, guarda con più attenzione ai Baby Boomers (nati tra il 1946 e il 1964) e a parte della Generazione X (nati tra il 1965 e il 1980)
Perché sono loro ad andare più spesso alle urne. E la politica, si sa, cerca voti. Il risultato? Le decisioni politiche finiscono per favorire soprattutto queste fasce d’età, con misure che spesso tutelano il presente (pensioni, privilegi acquisiti, conservazione dello status quo) ma mettono a rischio il futuro.
Il cortocircuito è evidente: per ottenere consenso oggi, si prendono decisioni che creano problemi domani. Il debito pubblico cresce, le riforme strutturali vengono rimandate, e chi pagherà il conto saranno – ancora una volta – i giovani. È come se ci trovassimo intrappolati in un incantesimo: per conservare il potere, si ignorano le generazioni che verranno.
E se per rompere questo circolo vizioso provassimo a cambiare prospettiva?
Immaginate un’Italia in cui si potesse votare già a 16 anni, e in cui gli over 60 non potessero più farlo. Una provocazione, certo. Una proposta antidemocratica? Sicuramente. Ma il punto non è privare qualcuno di un diritto, bensì rimettere al centro del dibattito chi oggi ne è sistematicamente escluso: i giovani.
Forse, se il loro voto avesse un peso reale, la politica comincerebbe a rivolgersi a loro. Si parlerebbe di futuro, di transizione ecologica, di scuola, di lavoro, di salute mentale e di casa. Non perché “fa figo”, ma perché sarebbe necessario per vincere le elezioni. La politica avrebbe finalmente un incentivo a progettare l’Italia di domani, non solo a gestire quella di ieri.
Non si tratta, quindi, di togliere il diritto di voto a chi è nato prima, ma di restituire voce e dignità a chi verrà dopo. Perché una democrazia che ignora i suoi giovani è una democrazia malata, che ha perso l’orientamento.
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