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– Il benessere mentale dei giovani è una priorità. Ma quando parlarne in famiglia diventa un confronto generazionale lo stigma si fa sentire –

C’è una generazione, quella dei trentenni e poco più, che ha imparato — spesso a proprie spese — a riconoscere il valore del benessere mentale. Una generazione che sa dare un nome all’ansia, che non si vergogna a dire “non sto bene”, che cerca nello psicologo non una diagnosi, ma un ascolto.

Eppure, per molti, il passo più difficile non è prendere appuntamento, ma dirlo a casa

Perché, dall’altra parte del telefono o del tavolo della cucina, spesso ci sono genitori cresciuti in un’epoca in cui lo psicologo era solo “per i pazzi”. Anni in cui si stringevano i denti, si mandava giù, si lavorava duro senza mai guardarsi dentro troppo a lungo.
E così, quando un figlio o una figlia di 35 anni confessa: “Sto pensando di iniziare un percorso di terapia”, può sentirsi rispondere: “Ma perché? Cos’hai che non va? Non sei mica matto.”

Una frase che pesa

Non solo perché minimizza un malessere reale, ma perché interrompe un dialogo che avrebbe potuto essere importante. Perché non c’è niente di “pazzo” nel voler stare bene. Anzi, forse oggi la vera forza è chiedere aiuto quando serve, senza sentirsi sbagliati.

In un mondo che corre veloce, dove il lavoro è instabile, i legami spesso fragili e l’identità continuamente messa in discussione, prendersi cura di sé è un atto rivoluzionario. Significa mettersi al centro, ascoltarsi, darsi spazio.

Eppure, proprio questo gesto semplice — dire “sto male, ma voglio stare meglio” — può generare scontri familiari. Non per cattiveria, ma per distanze culturali, per pudore, per paura di ciò che non si conosce.

Allora serve pazienza.
Serve trovare le parole giuste. A volte anche solo dire: “È come andare dal medico quando ti fa male una gamba. Solo che a me fa male dentro.”
Serve comprensione, da entrambe le parti. Perché, se è vero che i giovani hanno imparato a chiedere aiuto, forse i genitori hanno bisogno di imparare ad ascoltarli in modo nuovo.

Curarsi la mente non è un lusso, né una debolezza, è un diritto. È un atto d’amore verso sé stessi e verso chi ci sta accanto.
E magari un giorno, proprio quei genitori che oggi non capiscono, riusciranno a dire: “Hai fatto bene, se ti fa stare meglio.”


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